Benché a livello associazionistico le imprese scarseggino, Arcilesbica si è guadagnata comunque un posto di risalto nelle cronache nazionali grazie alle sue posizioni sulla GPA. Per chi non ha seguito le vicende fin dall’inizio andiamo a spiegare tutto con ordine.
Cos’è la GPA
La gestazione per altri o gravidanza surrogata o utero in affitto come la chiamano Adinolfi e Arcilesbica per farla apparire una mostruosità già dal nome, prevede che una donna, la madre portante, provveda alla gestazione e al parto per conto di una singola persona o di una coppia alla quale si impegna a consegnare il nato.
Cosa dice Arcilesbica
Tutto è cominciato, o meglio si è presentato alla nostra attenzione, nel 2016 durante il Pride di Milano, in cui le attiviste di Arcilesbica hanno distribuito un volantino contro la GPA che potete scaricare qui.
Durante il Pride 2017 ci riprovano, prima rilasciando un comunicato firmato, tra gli altri, anche da Marina Terragni (Resistenza all’utero in affitto):
La maternità surrogata è come la prostituzione. Domani al Pride diffonderemo questo volantino: Che cosa vogliono le lesbiche in Italia? Le lesbiche non sono le mogli dei gay, che tacciono e annuiscono quando gli uomini parlano. Arcilesbica parla e non ha paura della violenza verbale
Due mesi dopo, ad agosto 2017, viene pubblicato sulla pagina di Arcilesbica Nazionale un articolo dal titolo I am a woman. You are a Trans Woman. And that distinction matters (Io sono una donna. Tu sei una donna transessuale. E questa differenza conta) in cui l’autrice si dichiara “arrabbiata” perché le donne transessuali vogliono mettere a tacere le differenza tra sé e le donne biologiche quando invece occorre distinguere donne cisgender (a proprio agio con il genere che gli è stato assegnato alla nascita) da donne transessuali perché avere o meno un utero o un seno dalla nascita cambia la prospettiva del linguaggio e il repertorio delle esperienze. All’autrice dà anche fastidio di essere costretta a condividere spazi, ad esempio i bagni nei locali pubblici, con donne transessuali che conservano ancora l’organo genitale maschile.
Il post condiviso da Arcilesbica ha ricevuto, giustamente, una valanga di commenti negativi. Ed è magicamente sparito dopo pochi minuti, per poi ricomparire, esattamente come era prima, ma senza commenti.
Grazie a queste posizioni si sono guadagnate l’acronimo TERF (Trans-Exclusionary Radical Feminist).
E le Sentinelle ringraziano:
Non paghe di ciò, all’VIII congresso nazionale, presentano un documento intitolato “A mali estremi, lesbiche estreme” (scaricabile qui), in cui, oltre a ribadire la differenza tra donne e donne trans mtf, si scagliano contro le identità queer:
…il queer come identità politica non è compatibile con il femminismo, proprio perché nega che possa esistere (o meglio, nega che debba esistere) un soggetto collettivo femminile con caratteristiche e bisogni diversi e in contrasto con quello maschile. Il neutro all’apparenza sussume il maschile e il femminile, ma è il femminile a scomparire quando compare il neutro e alla fine ci si ritrova con il solo maschile, perché non si possano cambiare i rapporti di potere reali esclusivamente mediante lo slancio volontaristico e il linguaggio.
A dir poco delirante.
La conferma della dirigenza uscente
Il 10 dicembre 2017 si è chiuso il congresso di Arcilesbica che ha visto la rinomina della segreteria uscente, nonostante l’opposizione di dieci circoli su quattordici. Andiamo a vedere come ciò è potuto succedere: secondo lo statuto, ciascun circolo esprime un voto ogni 50 iscritte. Gli organi dirigenti, tuttavia, composti da 13 rappresentanti, hanno diritto di voto individuale. Questi numeri ci fanno capire la posizione di vantaggio da cui è partita la mozione vittoriosa che ha così raggiunto i suffragi necessari per vincere il congresso.
Il primo post dopo la vittoria si intitola UTERO IN AFFITTO ponendolo come tema centrale (e unico) della loro politica:
Perché le posizioni di Arcilesbica non sono dissimili da quelle di Adinolfi
- La GPA non è ad esclusivo appannaggio delle coppie omosessuali, anzi: 7 coppie su 10 tra quelle che vi accedono sono eterosessuali (fonte). In Italia l’argomento viene accostato al mondo LGBT per screditare i movimenti per i diritti civili. In particolare balzò all’attenzione popolare durante la discussione in senato del ddl Cirinnà, allorquando la destra ed i partiti di stampo cattolico sostennero che la stepchild adoption (poi stralciata) facesse da apripista “all’utero in affitto”. Quando si parla di GPA si citano sempre e solo coppie omosessuali come per esempio Nichi Vendola ed Elton John dimenticandosi di quelle eterosessuali: Tyra Banks, Robert De Niro due volte, Nicole Kidman e Keith Urban, Sarah Jessica Parker e Matthew Broderick, Giuliana Rancic, l’attrice di Hairspray Marissa Jaret Winokur e tanti altri.
- In Italia la GPA non è legale ed attualmente non c’è nessuna discussione in Senato per renderla tale. La legge n. 40 del 2004 (all’articolo 12, comma 6), che regola la procreazione medicalmente assistita, recita:
Chiunque, in qualsiasi forma, realizza, organizza o pubblicizza la commercializzazione di gameti o di embrioni o la surrogazione di maternità è punito con la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da 600.000 a un milione di euro.
- In Paesi come Ucraina, Thailandia, Georgia, Nepal e India, dove la GPA è spesso conseguenza di sfruttamento delle madri surrogate, è vietato l’accesso alle coppie gay: le uniche coppie che possono accedere a tale pratica sono quelle eterosessuali.
- Profondamente diversa è la GPA in paesi come il Canada e la California, e molti altri stati americani. Qui la GPA è accettata e diffusa, anche perché regolamentata da una disciplina rigorosa, volta a tutelare tutti gli attori del processo, in primis le portatrici che aiutano le coppie di genitori, etero o gay che siano. Queste donne, che come ha ben definito Umberto Veronesi “donano la maternità”, devono superare rigidi test psicologici e clinici, c’è un serio e impegnativo coinvolgimento da parte di tutta la famiglia, che supporta la scelta fatta dalla donna; la quale deve dimostrare che non c’è un bisogno economico sottostante. Sono donne che devono avere già figli propri, requisito necessario a garantire la piena consapevolezza della scelta fatta, non corrispondono alla donatrice di ovuli (per evitare il legame genetico) e sono loro a scegliere le coppie alle quali donare la maternità.
La GPA esiste negli Stati Uniti da almeno trent’anni, il processo è stato migliorato soprattutto a partire dal 1986, fino a diventare una pratica solida, chiara e socialmente accettata. Come è giusto che sia, la presenza di regole, di disciplina e di rispetto reciproco, permette di evitare situazioni spiacevoli e di clandestinità, come avviene purtroppo in altri paesi. (fonte)
- Con l’obiezione che puntualmente arriva “meglio l’adozione” (che ricordiamo NON essere legale in Italia per le coppie omosessuali) non si potrebbe che concordare se non fosse che le possibili adozioni in Italia non sono molte per fortuna: ogni anno si registrano mediamente oltre 90 decreti di adozione ogni 100 dichiarazioni di adottabilità. La percentuale di minorenni che non vengono adottati è perché grandi e/o con disabilità accertata. Per quanto riguarda l’adozione all’estero, i bambini che hanno bisogno di essere adottati sono sempre più grandi e/o con problemi di salute o con disabilità. (fonte) Bisogna comprendere che non tutte le persone sono in grado di gestire realtà così difficili e che più è alta l’eta del minore, più sono maggiori le situazioni di disagio che avrà alle spalle e che ben pochi tra gli adottanti possono vantare gli strumenti necessari per affrontare con successo.
Per tutti questi motivi, un movimento LGBT che si fa portavoce di una crociata contro la GPA, usando peraltro un gergo caro a movimenti del calibro del Popolo della Famiglia, sta esulando da quello che è il proprio dovere statutario, andando di fatto a mettere la comunità tutta nella situazione di doversi giustificare per una pratica che non è a proprio appannaggio.
Aprire un dialogo sulla GPA è doveroso in quanto trattasi di una realtà che non possiamo più far finta non esista. Ma tra dialogo e strumentalizzazione c’è una differenza che Arcilesbica, come Adinolfi, fingono di non vedere.
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