Chi è Giovanni Dall’Orto
Attivista per i diritti gay dal 1976, giornalista per diverse testate tra cui il mensile Pride di cui è stato direttore dal 2000 al 2008, ha pubblicato diversi libri sulla tematica gay, ha fondato l’Associazione Solidarietà AIDS, è stato due volte presidente Arcigay Milano ed è stato membro della segreteria nazionale di Arcigay oltre ad essere uno dei curatori dell’enciclopedia Wikipink.
Ultimamente ha fatto parlare di sé per aver partorito un trattato dal titolo Tractatus logicus-queerophobicus di cui Violet Cassandra Perseo vi espone brevemente le criticità che ha già evidenziato nel suo scritto L’ATOMO DI IDROGENO. Critica a Giovanni Dall’Orto.
Il Tractatus Logicus-queerphobicus
Nel Tractatus Logicus-queerphobicus, Giovanni Dall’Orto ha cercato di ostacolare l’estinzione dell’identità omosessuale, per come ordita dal movimento queer.
La precisione accademica di Giovanni Dall’Orto è chiara sin dalle prime pagine, quando, anziché imputare questa idea, che rappresenta la colonna portante della sua trattazione, ad un preciso e individuato gruppo di persone queer o a qualche testo della teoria queer, l’Autore ne affida l’evidenza ad una voce della pagina di WikiPink (l’enciclopedia gay curata, tra gli altri, da lui stesso), cioè ad una sua personale interpretazione “del queer”.
Nonostante non abbia mai dato prova di quanto sostenuto, Dall’Orto ritiene che questa fantomatica strategia queer si muova lungo i canali della negazione degli orientamenti sessuali e dell’affermazione dell’esistenza di sole pratiche, pertanto, “una volta diventati il bidone della spazzatura di qualunque sessualità non fosse rigidamente cattolica, i queer hanno potuto tirar[e]” di tutto in mezzo al movimento LGBT, “la parte sensata della sigla”.
L’inclusione di intersex, asessuali, questioning e pansessuali è da lui letta come un atto forzoso e politicamente orientato da parte “del queer”, nel “tentativo di vanificare l’esistenza di un movimento omosessuale in quanto tale, annacquandolo con cento altri concetti che con la liberazione omosessuale non c’entrano niente”
Intersex, asessuali, questioning e pansessuali
Dall’Orto porta vanti poche idee che sembrerebbero confuse ma sono in realtà ben studiate, se da una parte accusa il queer di voler negare l’identità gay, dall’altra afferma che i generi siano frutto di una negoziazione per ritagliarsi uno spazio di legittimità all’interno de quale poter accusare intersex, asessuali, pansessuali etc. di essere “uno zoo di casi psichiatrici”.
Gli intersessuali, definiti come individui con “una diversa struttura fisica dei caratteri sessuali”, non avrebbero “problematiche legate né all’orientamento sessuale né all’identità di genere” e quindi motivo di far parte del movimento LGBT, in quanto la loro problematica è esclusivamente fisica (e ciò è persino evidenziato in grassetto nel testo). Ma come è possibile non avere problemi legati all’identificazione sessuale se le persone intersex presentano caratteristiche biologiche che non possono essere ascritte a uno solo dei sessi socialmente riconosciuti nella nostra società?
Gli asessuali, definiti come “persone che non provano interesse per i rapporti sessuali, con chicchessia”, sono giurisprudenzialmente e socialmente a posto, in quanto “possiedono già il diritto a non fare sesso (anzi, in una società sessuofobica come la nostra, l’astensione dal sesso è considerata ‘santa’)”.
Dall’Orto esclude che intersex e asessuali abbiano il minimo interesse per la liberazione sessuale, in quanto “in gran maggioranza eterosessuali”.
Da questa raccapricciante analisi, Dall’Orto conclude di avere pieno titolo ad affermare “le aggiunte di queste sigle mirano a diluire il senso stesso dell’esistenza di un movimento di liberazione omosessuale“.
Bisessuali
L’analisi di Dall’Orto prosegue quindi seguendo questo schema:
- il movimento queer ha “iniziato ad aggiungere letterine” mosso dalla volontà di affermare che “non si [può] contenere tutta la diversità del mondo omosessuale in una parola sola”;
- “omosessuale” è invece da considerarsi una parola onnicomprensiva;
- la circostanza per cui il Gay Pride è stato soggetto all’eliminazione della specificazione “omosessuale” non può che essere letta come espressione di “vergogna”, “l’ennesimo tentativo di evitare di definirsi omosessuali”.
Nel voler rendere più solide le attività di advocacy e rivendicazione omosessuali, Dall’Orto ha scelto di percorre la strada più semplice: l’uso di una cementificazione ideologica, l’immutabile andamento dicotomico con cui si proponeva la concettualizzazione classica dell’orientamento sessuale, arrivando persino a negare la “verità” della bisessualità (definita come il “foglio rosa dell’omosessualità), a discapito di quella stessa rivoluzione sessuale di cui egli stesso si fa, paradossalmente, portavoce.
La fluidità è una caratteristica generale dell’essere umano. Ci sono davvero pochi altri fenomeni, all’interno delle scienze sociali, che hanno alla base un numero così esteso e di dati a supporto del fatto che la mono-sessualità sia in percentuale largamente minore rispetto ad una sessualità non esclusivamente diretta nei confronti del proprio sesso o di quello opposto e la cementificazione ideologica di cui Dall’Orto sfrutta i poteri censori ha impedito di affrontare la circostanza per la quale questa minoranza sessuale è, secondo la comunità medica, la più a rischio.
Tutta questa confusione grossolana, mal guidata e ideologicamente orientata, che fa Dall’Orto sulla natura descrittiva e non prescrittiva della cd. fluidità sessuale, rappresenta un ulteriore ostacolo per chi sente l’esigenza di esplorarsi e costruirsi un’identità, ha come unico scopo favorire statiche, ma politicamente utili, visioni categoriali dell’identità sessuale.
Transgender e transessuali
Per perseguire i suoi scopi, per affermare cioè che le identità sono convenzioni arbitrarie, Dall’Orto sdogana persino il misgendering((Come può il mondo LGBTQi tacere di fronte ad un attivista che nega la violenza o la mancanza di rispetto dietro l’assenza di volontà di apostrofare qualcuno col genere nel quale si identifica? Come ci si può aspettare che un uomo ftM non si offenda se lo si apostrofi al femminile? Cosa c’entra che la pratica ha, secondo l’Autore, rappresentato una pratica che è servita agli omosessuali per riconoscersi a vicenda come partecipanti alla sottocultura omosessuale (cfr. pag. 16)? Dove risiederebbe il termine di paragone?)), definendo come folle una legge che punisca la volontaria identificazione delle persone T* e non gender-conforming,
non risparmiandosi neppure la sempreverde battuta sul sentirsi qualcosa di appartenente al mondo animale, interspaziale, fiabesco o mitologico.
Ma che credibilità può avere chi, per rivendicare le istanze omosessuali in un ambiente eteronormato, non ha altri mezzi per mantenere il proprio privilegio se non sostenendo che le “identità si negoziano”?
Non pago di aver dato legittimità ad un uso improprio e irrispettoso dei pronomi, questione che per altro trattata solo in relazione alle persone T*, Dall’Orto sfrutta le battaglie delle persone transessuali, da lui lette come una lezione su “quanto importante, essenziale, irrinunciabile sia l’identità sessuale per l’essere umano”, per dare un tocco militante alla tesi per cui “il queer” rappresenta un pericolo per l’identità omosessuale.
Il queer è visto da Dall’Orto come “una strategia di disinnesco del movimento lesbico e gay” in quanto rappresenterebbe “il trionfo della visione eterosessuale ed eteronormativa del mondo”. L’essere binario del queer si paleserebbe in quella “manfrina” messa in atto da un’attivista T* al Caserta Pride 2017, quella di “alcune ragazze hanno il cazzo, fattene una (ragione)”, attribuendo l’identità di questa ragazza ad una “manfrina”, che, ad avviso dell’Autore, altro non cela che la volontà di ricondurre forzatamente un corpo che non è né maschile né femminile bensì “in transizione”, una sorta di non essere “un quasi essere”, qualcosa nel mezzo che mai potrebbe essere considerata una realtà di per se stessa. Come se la sociologia non ci avesse mai informato sull’esistenza di transessuali in epoche in cui la chirurgia ricostruttiva utero-genitale era pura fantasia.
Il resto della narrazione sembra inoltre prediligere una narrazione che sembra accarezzare le corde di chi vede la transessualità come intrinsecamente malata((Come altrimenti leggere l’ulteriore soggetto dell’attività bullizzante di Dall’Orto, un uomo che dalla narrazione dell’Autore leggiamo essere un “52enne padre di famiglia che afferma d’essere una bambina di sei anni”, (pag. 20) la cui stramberia non risulta essere che una terapia che la sta aiutando a recuperare i momenti che credeva perduti della sua esistenza femminile, partendo dalla propria infanzia, per allontanare il dolore e i pensieri suicidi? Bastava una ricerca su Google perché YouTube ci mostrasse come la narrazione sia stata totalmente stravolta da Dall’Orto: “It’s all play therapy, no medications, no suicidal thoughts”, racconta la diretta interessata. Come altrimenti leggere le successive storie narrate? Una lunga carrellata di stramberie, che va dalla transessuale che si fa rimuovere le orecchie per diventare un drago (come se le body modification fossero una prerogativa queer) alla donna transgender che da “sana” chiede di essere operata per coronare il suo sogno di vivere da reale paralizzata…))
Conclusioni
Ho scritto e occupato il mio tempo scrivendo di Dall’Orto non solo per alzare la voce contro le sue affermazioni false e violente, ma anche per evidenziare la deriva conservatrice, transescludente e queerfobica che la militanza gaylesbica ha adottato quale mezzo per non essere travolta dall’isterismo del #giender e mantenere i propri “privilegi”.
Prendere le distanze da tutto ciò che di sovversivo contiene la differenza sessuale è infatti l’unico modo per sopravvivere ai tumultuosi moti del #giender, che rischiavano di spazzare via la placida tolleranza su cui la minoranza GL si era adagiata.
Ed è lo stesso Dall’Orto a sconfessarsi, chiudendo il saggio invitando a riflettere sulla convenienza di parteggiare con chi “è capace solo di confondere i termini della questione”.
Qualcuno scriverà che parlandone sto (e stiamo) dando visibilità a Dall’Orto, ma né lui né Arcigay hanno bisogno della sottoscritta per avere un posto d’onore all’interno del discorso omosessuale. Sia Dall’Orto che Arcigay hanno sia l’autorità che la legittimità tali da essere presi seriamente in questione in questo preciso momento storico. Voltarci dall’altra parte e tapparci il naso non ci aiuterà né a attutire gli effetti del loro prendere posizioni emarginanti ed escludenti né a mettere in atto una denuncia credibile quando sarà il momento di affrontare gli effetti stessi di questa politica omo-conservatrice.
Lo scritto di Dall’Orto inoltre gode di un’efficacia comunicativa innegabile perché lontano dai sofismi e dalle costruzioni logico o filosofiche della cultura queer, è diretto, immediato. Ignorarne l’efficacia comunicativa è puro snobbismo, non politica.
Sono un etero approdato qui mezz’ora fa per commentare un vecchio “post” su Aldo Vaccaro, quindi una persona che complice l’insonnia cercherà di commentare in punta di piedi in un contesto di cui non conosce molto.
Giustissimo sollevare la questione in quanto dai pochi stralci che hai analizzato qui sopra si palesa chiaramente che Dall’Orto sia intollerante nei confronti di chi non è gay\lesbica, e di intolleranza fin quando ci sarà un solo intollerante al momdo c’è ne sara’ troppa.
I trans come possono essere rappresentanza di un modo eterocentrico di vedere il mondo, io, da etero, non provo attrazione sessuale per qualcosa diverso da una donna, per quello mi definisco tale, altrimenti sarei altro.
E la bisessualità non esiste perché lo ha deciso lui?
Chi decide che un trans in quanto tale deve obbligatoriamente finire la transizione per diventare del sesso opposto rispetto a quello di nascita?
Mi sembra che sia lui stesso e non i queer a decidere che non esistano identità di genere ma solo atti sessuali differenti.
Non sembra avere empatia per le persone in transizione o pansessuate che ancor più dei gay o delle lesbiche sono discriminate socialmente e lavorativamente relegati spesso a semplici oggetti sessuali?
Oppure come si fa a presupporre che gli asessuati siano maggiormente accettati culturalmente? E che sono eterosessuali?
Bho spero di non aver avuto un approccio troppo ingenuo nel tal casa mi “corriggerete”!
Per concludere, date le premesse, trovo questo “saggio” una lettura evitabile, ampollosa e innervosente. 😀
Lorenzo C.