“Corpo” è una parola che ha dentro di sé diverse accezioni: dal corpo biologico, a quello politico, sociale, militare, culturale, diventando anche termine per indicare qualcosa di inanimato come il corpo di un testo, di una nave. Il corpo è il nostro dato primo, ciò che ci permette di comprendere il mondo attraverso comparazione e relazione, e quello che ha dato avvio all’evoluzione, anche politica e culturale. Infatti, se la musica è nata dal rumore del battito cardiaco, la prima immagine rappresentata è stata quella di un corpo simbolico.

Il corpo ha rappresentato nella storia un elemento indispensabile per la politica, perché elemento comune tra ogni essere umano e indispensabile per la sopravvivenza. Si è assistito così non solo all’esposizione di corpi puniti con la morte, come la crocifissione, la ghigliottina o i roghi delle streghe, ma anche all’esaltazione del corpo eroico, santo ed esemplare. Queste forme di strumentalizzazione del corpo hanno contribuito a plasmare la politica e la società in modo tale che si potesse mantenere ordine e disciplina. Ma è il corpo di Rosa Parks che si rifiuta di sedersi; è il corpo di Jan Palach che prende fuoco per resistere ai sovietici; è il corpo di Sylvia Rivera che per primo si ribella alla polizia. Tutti questi corpi hanno avuto la capacità di trasgredire a norme sociali e di potere per diventare un simbolo di lotta ed esempio di riappropriazione della forza insita nell’utilizzo del corpo. L’arte ha attinto da sempre a questi atti radicali per svilupparli e per amplificarli, diventando mezzo di riflessione sulle possibilità e le pratiche. In Cut Piece Yoko Ono è seduta nello spazio espositivo con delle forbici davanti a sé, mentre invita il pubblico a tagliare il suo abito. L’atto richiesto diventa esemplificazione della violenza su un corpo. In Vaporización, Teresa Margolles riempie le sale espositive con vapore acqueo. La nebbiolina nella quale gli spettatori e le spettatrici sono immerse viene generata da acqua disinfettata in cui sono stati immersi lenzuoli usati per avvolgere persone morte in omicidi connessi al narcotraffico. E ancora Barbara Kruger in Untitled (My Body Is a Battleground) rappresenta la faccia di una donna divisa a metà, oscurata e in parte distorta, in supporto della Women’s March del 1989 a Washington per la libertà riproduttiva. In questi esempi il corpo, diventato elemento politico, si manifesta in diversi modi (reale, immagine e presenza immateriale) per riflettere su tematiche generali, diventando espressione di una collettività.

Nella cultura binaria occidentale il corpo viene concepito come fisico e mentale, come individuale e collettivo, come abile e disabile, come privato e pubblico, limitandone l’espressione e le possibilità. In questo contesto è ancora una volta il corpo che cerca di superare i limiti che la società gli impone, diventando esso stesso trasgressione della norma dicotomica: lo sono i corpi scattati da Nan Goldin in The Ballad of Sexual Dependency (1985), dove la fotografa ha ripreso le sue esperienze personali e amorose all’interno della “famiglia allargata” in cui ha vissuto nel quartiere di Bowery; lo è il corpo disabile dell’artista Mari Katayama rielaborato e trasformato in Bystander; lo sono i corpi dipinti da Dorothy Iannone che raccontano la storia dell’artista, evidenziandone gli aspetti più intimi e perversi; lo è il corpo di Laurence Philomene nella serie fotografica Puberty, in cui documenta la sua esperienza durante la terapia medica ormonale come persona non binaria. In questi casi il corpo diventa mezzo di trasgressione, di espressione del sé e del proprio intimo, sottolineando come sia importante esaltare l’esperienza personale come unica, e allo stesso tempo condivisa, cercando di distruggere la logica binaria nell’ottica di una liberazione completa del soggetto.

Il corpo continua a essere mezzo principale di espressione politica e di resistenza, e per questo l’intento dell’open call Strike a Pose – il corpo come forma di lotta è di raccogliere nuove testimonianze e interpretazioni del corpo, sia esso individuale o collettivo, come forma di lotta.